Tanit era la dea che deteneva il posto più importante a Cartagine e significativamente, per una città prettamente commerciale, la sua effigie compariva nella maggior parte delle monete della città punica. Era una delle consorti di Baal ed era venerata come dea protettrice della città e godeva di speciali favori e venerazione da parte dei cittadini di Cartagine e del suo impero. Per i cartaginesi, Tanit,che nella vita terrena si pensa fosse stata Didone, era dea della fertilità, dell'amore e del piacere, associata alla buona fortuna, alla Luna e alle messi. Nella mitologia fenicia era simile ad Astarte, la dea madre. Nella religione greca, Tanit era paragonata ad Afrodite, ad Artemide ed a Demetra, dea delle messi e dei raccolti. Nella lingua egizia il nome di Tanit potrebbe essere letto come "Terra di Neith", e Neith era una divinità legata anche alla guerra. Questa divinità nacque dal sincretismo della civiltà fenicia con quella del nord-Africa e, con l'espandersi della cultura punica. La sua divinità si diffuse largamante nel Mediterraneo occidentale.
lunedì 6 febbraio 2017
Astarte (dal fenicio Ashtart [cfr assiro ishtartu = dea], greco Lstarth, latino Astarte) è una divinità fenicia comune a tutti i popoli semitici che successivamente è penetrata nel mondo greco-romano. Era la dea primigenia, la Terra Madre, progenitrice di tutti gli esseri viventi, signora di varie città (Tiro, Sidone, Biblo, Cartagine); In Sicilia il culto si diffuse a Erice, dove venne identificata con Venere Ericina, e su Monte Pellegrino. Il suo culto comprendeva anche la prostituzione sacra. Astarte era pure una divinità astrale. A lei viene dato l'epiteto "Regina del cielo". La "Stella" che porta la vita e la Luce del Popolo, così come lo furono Inanna/Ishtar, Iside e molte altre che condividono l'idea di una Grande Dea assoluta e primordiale. I riferimenti alla volta stellata stanno a significare che lei non è semplicemente una divinità tellurica e materna ma anche una divinità celeste, in possesso della conoscenza, del potere sovrano e amministratrice della giustizia.
Al tempo dei re Borboni il Monte fu centro di caccia dei nobili, specialmente durante l’esilio a Palermo di Ferdinando IV di Borbone tra il 1798-1802. Il re abitava nella Palazzina Cinese e ciò rendeva più facile organizzare le battute di caccia alla volpe e al cinghiale. Sul monte infatti la fauna era abbondante: lepri, conigli, volpi, cinghiali, uccelli di vario genere compresi anche i rapaci. I boschi di pino marittimo e domestico, i lentischi, i cespugli di euforbie, i lecci, gli alberi di alloro, i ficodindia, alberi di mandorli e d’ulivi coprivano i fianchi del monte. Oggi le piante predominanti sono gli eucalipti che sono stati importati dall’Australia proprio per la loro capacità di assorbire l’acqua dal terreno. Nelle zone rocciose si trovano ancora i ficodindia, i lentischi, le euforbie, l’erica lo gnidio (olivella), lo sparzio villoso, simile alla ginestra ma spinosa. Si trovano anche cespugli di cisto femmina con fiori simili a roselline bianche aperte, il timo aromatico, il ranuncolo dai fiori lucenti gialli con otto petali; il camedrio dai fiori azzurro-lilla e dalle foglie bianco-feltrose, l’ailanto, albero dalle foglie verde scuro e dalle bacche rossastre che si trova lungo le strade.
"[...] il mito fa risalire a Saturno la fondazione del "castello di Cronio" alle pendici del Monte; dunque, secondo la leggenda, questa montagna avrebbe addirittura origini divine. È certo, peraltro, che nel periodo precristiano proprio il Monte Pellegrino era considerato un luogo dal forte significato spirituale, rappresentando per tutti una vera e propria montagna sacra. L'idea della sacralità del Pellegrino sarebbe stata particolarmente radicata tra gli abitanti delle comunità che risiedevano nella cosiddetta "Conca d'oro" (la pianura di Palermo), tanto che in epoca punica, all'interno di una grotta situata quasi sulla vetta del Monte venne costruito un altare, dedicato a divinità femminili della fertilità. E non pare un caso che proprio la grotta nella quale venne realizzata questa edicola punica, molti secoli dopo sia diventata il principale luogo di culto del popolo palermitano: quello dedicato alla "Santuzza", Rosalia Sinibaldi, la nobile palermitana vissuta nel XII secolo e dichiarata Santa nel 1629: trasposizione in chiave cristiana della dea dei tempi precedenti.
Percorrendo a piedi la Valle del Porco (l'accesso si trova sul versante ovest del Monte), che collega la Real Tenuta della Favorita con il Santuario, si incontra il Gorgo di Santa Rosalia. Si tratta di un piccolo specchio d’acqua temporaneo. La grotta di Santa Rosalia è stata fin dall’antichità nota per la presenza d’acqua. Questa si raccoglie dentro una grande falda acquifera che viene condotta sino al cosiddetto Gorgo. Questo specchio d'acqua artificiale è oggi circondato da un boschetto di eucalipti, impiantati al posto dei pini e di altre piante originarie, andate distrutte dagli incendi e dal disboscamento. Il gorgo di Santa Rosalia è noto agli ecologi e ai limnologi di tutto il mondo per una scoperta che risale agli anni Cinquanta. Un famoso scienziato americano, G. E. Hutchinson, mentre era a Palermo, si recò in visita al Santuario di Santa Rosalia e rimase stupefatto del ritrovamento di due specie di insetti acquatici in apparente violazione del principio di esclusione competitiva. La scoperta lo condusse a rivedere le sue idee sulla diversità e a riflettere sul perché in questo stagno, ed in generale in un ecosistema, fossero presenti due specie, piuttosto che una oppure venti.
Molti si sono occupati nel corso degli anni dell'origine etimologica di Montepellegrino. Alcuni siti tracciano brevemente i percorsi effettuati dai principali studiosi. Si va da Giordano Cascino con la sua “De Sancta Rosalia Vergine palermitana” (1651) a Vito Amico nella sua opera “Lexicon topografico Siculum” (1757). Del nome del monte se ne è occupato anche il Marchese di Villabianca nelle “Memorie storiche” (1750) e l’Abate Scinà nella “Topolografica di Palermo” (1818). La maggior parte degli studiosi concorda nell'identificare il monte Erkte descritto da Polibio durante la narrazione delle guerre puniche con il Montepellegrino. "Amilcare Barca con l'armata cartaginese si portò nel territorio palermitano ed occupò il luogo detto Epierkta, il quale giace fra Erice e Palermo (...) a guardia della città di Palermo". Epiercta, in lingua greca, significa “sul castello, luogo chiuso o munito, dal quale si possono tenere lontani i nemici” (Cluverio). I greci lo chiamarono Heirkte per via delle pareti rocciose particolarmente ripide. Ai romani, giunti successivamente a Palermo, questo monte fu avverso e inaccessibile: il nome fu così convertito da Heirkte a "Peregrinus", ovvero ostile (“peregrinus”, nel latino classico, significava non solo lo straniero, ma anche il nemico).
Il monte, alto 609 metri sul livello del mare, è geologicamente omogeneo. E', infatti, costituito principalmente da rocce carbonatiche. Si tratta di rocce sedimentarie, con prevalenza di calcari, formate da carbonati di calcio e di magnesio. Il fenomeno principale cui è soggetto il monte è il carsismo. In pratica le acque piovane non scorrono in superficie ma filtrano in numerosi anfratti per poi riapparire come sorgenti. Il contatto tra l’acqua e alcuni tipi di rocce di origine organica (soprattutto calcari formate da gusci di organismi marini morti milioni di anni fa) fa sì che il liquido si comporti con le stesse rocce come se fosse un acido. Il carsismo è quindi una delle cause delle numerose grotte che sono presenti a Monte Pellegrino. Delle 134 sinora censite alcune sarebbero anche di origine marina. Il monte è stato definito da più parti un vero e proprio museo paleontologico all'aperto: ci sono importanti siti fossiliferi a partire dal periodo Cretaceo.